Negli ultimi giorni il web è letteralmente impazzito al grido «All’Università degli studi Padova è stata assegnata la “fascia” A». Stando al lessico di Facebook, la reazione più appropriata dovrebbe essere ‘WOW’, tuttavia, per uno spirito critico e non classista, di mozzafiato non c’è proprio nulla, anzi risulta doveroso ricorrere all’hashtag #onlysadreactions.
Ma partiamo dal principio. Dal 12 al 16 novembre 2018, l’ateneo padovano ha accolto nelle sue secolari strutture le visite delle Commissioni di Esperti Valutatori (CEV) dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), unico ente pubblico riconosciuto dal Ministero dell’Istruzione. Lo scopo: la verifica dell’Assicurazione di Qualità dell’Ateneo, di alcuni corsi di studio e dipartimenti, attraverso il processo di Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento (AVA), per poi assegnare un “punteggio finale” ed un relativo “giudizio”, da A ad E.
Per l’occasione, l’ateneo è stato vestito a festa, soprattutto nelle sedi oggetto di verifica. Su tutte è risultato assai grottesco il restyling di un’aula in Via Loredan, da anni contestata dagli studenti per la mancanza di servizi igienici a norma, di una rete wi-fi eduroam, di una temperatura consona nei mesi invernali e con barriere architettoniche insormontabili. Al solo eco della sigla CEV, l’aula è stata reinventata, eliminando ogni tipologia di ostacolo in tempi record, è stata introdotta una rete senza fili, i servizi sono tornati nella normalità, e addirittura si è trovata una soluzione provvisoria al problema del freddo. Così tanto provvisoria, da scatenare l’ira di alcuni docenti che, una settimana dopo la visita della commissione, hanno visto ritornare la struttura nelle condizioni sopra descritte e lamentando una «temperatura da crioconservazione».
«Altro che panico, che venissero tutti i giorni le CEV», questo era l’inno degli studenti tra la rabbia e la tragicomicità.
Per quanto riguarda l’area studentesca, il fondo del barile è stato toccato nei primi giorni di settembre, quando l’ateneo ha invitato tutti i rappresentanti ad un corso di formazione palesemente finalizzato ad istruire i futuri interrogati dalle CEV. Nulla in contrario al corso in sé, che poteva essere solo un surplus conoscitivo nei curricula degli studenti. Tuttavia, la rappresentanza studentesca ha opinato le tempistiche e soprattutto la “medaglia” virtuale fornita ai partecipanti sotto forma di un fantomatico Open Badge da inserire nel cv.
Sui colloqui c’è ben poco da dire.
Una commissione esaminatrice schierata come una grand jury ha interrogato i vari componenti dei Gruppi per l’Accreditamento e la Valutazione (GAV), ormai stremati da un mese di riunioni quasi quotidiane, spesso cadendo in gaffe quasi surreali: «Professore, ci possiamo dare del Tu visto che siamo colleghi?».
La buona salute dell’Università di Padova, documentata sia dall’ANVUR sia dalla recente classifica QS che ha visto l’ateneo patavino entrare nella top 100 europea, fa solo che piacere, e dimostra un processo di miglioramento evidente. Tuttavia, questi dati vanno prima di tutto analizzati e compresi perché una mancanza di literacy in materia porta ad un effetto boomerang, e soprattutto perché, se la “ribalta” appare scintillante e da prima pagina, il “retroscena” è tutt’altro che limpido.
Federico Smania