Prima coccolati e poi emarginati. In altre parole, catturati con l’inganno. Si sentono così gli studenti internazionali dell’Università di Padova, cioè gli studenti stranieri che hanno deciso di trasferirsi a Padova in pianta stabile, per seguire dei corsi pluriennali (e non solo per dare qualche esame, come gli studenti Erasmus, che si fermano in città per pochi mesi). A Padova, nel 2018, questi studenti erano 1.732.Proprio dal 2018 l’ateneo patavino ospita l’International Student Council, un organismo nato per dare voce a questa fetta di studenti; a fondarlo è stata Helya Sepanta, studentessa iraniana di Psicologia che è arrivata a Padova nel 2015, dopo due esperienze a Londra e in California. Ed è proprio Helya a spiegarci che la vita degli studenti internazionali sia durissima.
Il primo nodo è l’accoglienza: “Quando arriviamo, l’Università non ci aiuta a trovare casa - dice Helya - Il problema riguarda soprattutto gli studenti africani, che si devono scontrare con la diffidenza dei padroni di casa italiani, e fanno fatica a trovare un alloggio; l’Università non vuole nemmeno preparare delle lettere in cui si dichiara che questi ragazzi sono studenti e non clandestini, come avevamo chiesto. E intanto loro devono dormire in ostelli e bed and breakfast”. Poi c’è il problema della lingua: “Le lezioni sono in inglese, ma il personale parla solo italiano - assicura Helya - Mi è capitato di andare all’ufficio studenti, e di sentirmi dire che dovevo tornare accompagnata da qualcuno che parlasse italiano, perché qui siamo in Italia. La barriera linguistica è un grosso problema, anche per questioni pratiche come la richiesta dell’Isee. E poi, se noi facciamo un corso di italiano non riceviamo alcun credito, mentre se un italiano fa un corso di inglese sì. Oltre a promuovere i corsi in inglese, l’ateneo dovrebbe anche scrivere che è richiesta la conoscenza di un italiano accettabile”.
Helya, inoltre, sottolinea il senso di smarrimento che accomuna molti studenti stranieri: “Non abbiamo un welcome day, o altri eventi dedicati, è tutto affidato a incontri casuali, e a volte ci sentiamo esclusi. Non abbiamo una comunità di riferimento, siamo lontani dalla famiglia, dobbiamo sostenere tanti costi, e non abbiamo nemmeno un po’ di supporto psicologico. I canali di comunicazione sono pochi, e uno di questi è la nostra pagina Facebook”. Ultimo ma non ultimo, il tema del diritto allo studio: “La mia borsa di studio è arrivata con un anno di ritardo, così ho dovuto lavorare per mantenermi, e questo mi ha fatto rallentare nello studio”. Il giudizio di Helya è un po’ severo: “L’ateneo padovano vuole tanti studenti internazionali per scalare i ranking, ma non è ancora pronta ad accoglierli, e non ha le strutture per farlo. Quello che abbiamo trovato non corrisponde a quello che ci era stato offerto”.
Alessandro Paccagnella, prorettore ai Rapporti internazionali, replica così: “È vero che c’è qualche problema legato a questioni burocratiche come visto, tessera sanitaria, assicurazione e permesso di soggiorno, ma non mi riconosco in questa descrizione. Tutto è perfettibile, ma abbiamo lavorato, e la maggior parte degli studenti internazionali sono soddisfatti”.
Alessandro Macciò
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La dura vita degli studenti internazionali
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La dura vita degli studenti internazionali
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