La moneta di Facebook è sulla bocca di tutti e anche se il progetto, pianificato per il 2020, sembra essere slittato a causa dell’abbandono degli attori finanziari, non significa che Libra non ci sarà, e che non avrà delle conseguenze. Ma partiamo dal principio, che cos’è Libra e perché solleva così tante perplessità e timori?
La valuta sarà al tempo stesso un “mobile coin” e uno “stable coin”, nonché una nuova blockchain, cioè una moneta stabile, agganciata a un tesoretto, definito dal white paper come un paniere di "asset a bassa volatilità, come depositi bancari e titoli di Stato a breve termine, denominati in valute di Banche centrali stabili e ad alta reputazione". Come funzionerà e, nel concreto, come potrà essere usata? Sembra che, nei nostri Whatsapp e Messenger, avremo la possibilità di scambiarci e inviarci somme di denaro con la facilità, la rapidità e l’immediatezza di un messaggio, soldi che non saranno caricati su una carta di credito o debito, come siamo soliti fare nell’e-commerce, ma saranno una nuova entità, Libra appunto. I partner coinvolti sono noti al pubblico, e infondono sicurezza, parliamo di Visa, Mastercard, Iliad, Booking, Uber, Spotify e chissà poi che altro sarà possibile fare se si andassero ad aggiungere altri partner e investitori: cominceremo a usarla per pagarci un caffè e le bollette? Forse sì, o almeno tecnicamente sì, superando le obiezioni e perplessità del caso.
Spostiamoci ora su un altro piano, però, più epistemologico se vogliamo. Facebook rischia sì di avere la sua moneta, ma ha già molto altro. Ha un suo leader, dalla visione strategica e politica. Ha più di 2 miliardi di utenti, numero che se paragonato a una popolazione, sarebbe il luogo più popoloso del mondo. Ha un proprio sistema di polizia, fatto di segnalazioni. Ha un insieme di valori fondanti, più o meno rispettati, che limitano e definiscono la sottile linea tra ciò che è la libertà di Internet, e la bellezza del comunicare al mondo qualunque cosa in qualunque momento, e il buon senso di mettere dei freni ai messaggi d’odio. Gli account sono come una nostra carta di identità digitale: parlano di noi e mostrano cosa facciamo, che interessi abbiamo, con il valore aggiunto di poter indossare una maschera e far sapere ciò che decidiamo di far sapere, a prescindere che sia la verità o meno. Su Facebook troviamo la pubblicità, la stessa della tv, dei giornali, dei cartelloni appesi per strada, è ora lì, comoda ed efficiente nel nostro piccolo grande mondo digitale. C’è da chiedersi dunque, che cosa differenzia il social network più famoso del mondo da un Paese, da uno Stato? Che cosa manca? Non molto, se ci pensiamo bene. E forse il futuro è proprio questo, anzi forse ci siamo già dentro senza averne troppa consapevolezza. John Hermann del New York Times ne parla così: “Per quanto non pensi come un governo, né somigli a un governo, si è cucito alle vite pubbliche e private dei suoi utenti.” e questo ha delle conseguenze senz’altro positive, se pensiamo ad esempio a gruppi di supporto presenti nei social, che riuniscono persone che condividono gli stessi disturbi o le stesse patologie, o a quanto accorci le distanze e riduca tempi. Ma porta con sé tantissime criticità: come andremo a garantire la verità di quello che pubblichiamo e troviamo, come faremo ad essere certi di avere una privacy tutelata? Questo è qualcosa su cui riflettere, ma da cui non possiamo tornare indietro.
Anna Zilio