La Polisportiva Pallalpiede.
Con la palla...al piede, ci sanno fare eccome, tant’è vero che hanno appena vinto per la prima volta il campionato di Terza Categoria. Loro sono i giocatori della Polisportiva Pallalpiede, la squadra dei detenuti ristretti nel carcere Due Palazzi di Padova che, a fine giugno, hanno festeggiato l’impresa affrontando una rappresentativa di giornalisti e consiglieri comunali guidata da Diego Bonavina, assessore allo Sport ed ex calciatore del Padova.
La Pallalpiede non può giocare in trasferta, quindi il raduno è davanti al Due Palazzi. A fare l’appello non è l’arbitro, ma un agente della polizia penitenziaria che raccoglie tutti i documenti della squadra ospite. Portafogli, chiavi e cellulari finiscono nel sacchetto degli oggetti “proibiti”, che verrà riaperto solo a fine partita. Neanche il tempo di attraversare il cortile del carcere e c’è subito un altro stop: bisogna far passare i borsoni nello scanner, e anche i famigliari che hanno finito la visita ai detenuti.
Un altro cortile ed eccolo: quello del Due Palazzi sarebbe un campo come tanti altri, se non fosse per qualche dettaglio che assomiglia a un promemoria. Su due dei quattro lati, infatti, il terreno di gioco è delimitato da una cancellata, poi da una rete e infine dal muro di cinta, che conclude il triplo sbarramento e sfuma in lontananza, oltre i palazzi dei detenuti. In tribuna c’è solo una manciata di persone autorizzate, tra cui il presidente del Padova, Daniele Boscolo Meneguolo; la visuale migliore, però, ce l’ha l’agente che presidia la torretta di guardia.
Oltre a rinfrescare l’aria, il temporale del mattino ha formato sei o sette pozze fantozziane, che rendono impraticabile una piccola porzione del campo. Poco male: foto di rito, scambio di medaglie, targa commemorativa, discorso dell’assessore, e si parte. Per la cronaca, la partita finirà 7-4 per la Pallalpiede: gli ospiti si fanno rimontare da 0-2 a 5-2, poi accorciano le distanze fino al 5-4 e infine incassano gli ultimi due gol. Prima della doccia c’è anche il terzo tempo, incentrato sulla merenda preparata dai detenuti della Pasticceria Giotto.
La cosa più bella, però, è che come sempre il campo ha cancellato ogni differenza. Fedine penali, colori della pelle, titoli di studio, incarichi professionali: mentre quei 22 correvano dietro al pallone, è sparito tutto. Si è dissolto perfino il muro di cinta, come le pareti ne ‘Il cielo in una stanza’, di Gino Paoli. Niente più limitazioni e niente più pregiudizi, né da una parte né dall’altra. Solo un prorompente senso di libertà e un clima di sano agonismo, incarnati entrambi dalla voglia di correre, di aiutare i compagni, di misurarsi con gli avversari e con sé stessi, di superare i propri limiti.
«Grazie a tutti voi che credete in noi», c’era scritto sulla torta del terzo tempo. «Grazie a voi», hanno ripetuto quelli della squadra ospite.
Alessandro Macciò
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