Fa un certo effetto chiudere «Il mare intorno a noi» di Rachel Carson, e poi scoprire che nell’ultimo secolo la temperatura del Nord Adriatico è cresciuta di oltre un grado, o che il 14 luglio 2019 il villaggio canadese di Alert (affacciato sul Mar Glaciale Artico) ha raggiunto la temperatura record di 20,5 gradi.
Fa effetto non solo perché questo libro, pubblicato nel 1961 e appena ristampato, registrava già il surriscaldamento dei mari, e prevedeva l’avvento di un pianeta «più caldo», ma anche perché la lettura ci ha fatto interiorizzare il mare più di quanto potessimo immaginare, tanto che ci basta una notizia come quelle citate per fantasticare sui fondali, le dorsali, le correnti e le creature del suo ambiente.
Stupisce un po’, invece, sapere che solo oggi un’università londinese ha lanciato la prima laurea mista in materie umanistiche e scientifiche: Rachel Carson, biologa statunitense morta nel 1964 a 56 anni, divenuta un simbolo del movimento ambientalista per la sua battaglia contro i fitofarmaci, possedeva già il dono di mescolare scienza e poesia, di collegare fatti e fenomeni lontani nello spazio e nel tempo con un approccio meticoloso, un linguaggio comprensibile e uno stile accattivante. Dalla Genesi a Omero, da Melville e Shakespeare, ogni capitolo si apre con una suggestione poetica, per poi magari citare giornali di bordo, saggi accademici e istruzioni di navigazione. E poi ci sono pagine incantevoli, come questa: «Giorno dopo giorno l’Albatross si muoveva in una ristretta stanza circolare, le cui pareti erano soffici cortine grigie e il cui pavimento possedeva una vitrea levigatezza. Talvolta una procellaria attraversava volando questa stanza con battiti simili a quelli della rondine, ed entrava e usciva perforandone le pareti come per magia. Sul far della sera il sole, prossimo al tramonto, era un pallido disco argenteo sospeso al sartiame dell’imbarcazione».
«Il mare intorno a noi» è una lettura non solo piacevole, ma anche altamente istruttiva e stimolante. Un monito costante per esortarci a considerare che la vita deriva dall’acqua, che le profondità dei mari custodiscono paesaggi ed ecosistemi in continuo divenire, che gran parte degli oceani e dei meccanismi che li regolano ci sono ancora ignoti, che il nostro ruolo sul pianeta è ampiamente marginale. Ma che gli uomini possono cooperare per colmare le lacune e governare forze apparentemente oscure, con l’ingegno e la forza di volontà, che in generale la vita scorre incessante come le correnti che «fanno un tutt’uno degli oceani», perché non c’è acqua “che appartenga interamente al Pacifico o interamente all’Atlantico o all’Oceano Indiano o all’Antartico. Le onde che oggi ci rallegrano a Virginia Beach o a La Jolla, anni prima possono aver lambito la base di un iceberg antartico, o aver brillato nel sole del Mediterraneo”.
Alessandro Macciò