A rompere il silenzio è stata la Gypsotheca di Possagno, con l’ashtag #freeAntonioCanova.
Liberiamo Canova: non certo da una prigionia fisica, dato che non è più tra noi da un paio di secoli, ma dalle catene della censura social, che in nome del buon costume ha oscurato opere d’arte tra le più celebri al mondo. Via Amore e Psyche, via Adone e Venere, via anche il Bacio di Rodin: una chiappa in vista, per quanto sia (letteralmente) di marmo, offende il buon gusto.
Al museo canoviano se ne sono accorti per caso, notando che non era più possibile visualizzare alcune immagini su Instagram. «I post recenti di #antoniocanova» spiega il sistema «sono al momento nascosti perché la community ha segnalato alcuni contenuti che potrebbero non rispettare le linee guida della community di Instagram».
Ma la community, in verità, c’entra poco: all’origine di tutto, infatti, non c’è un ligio censore delle immagini sui social, ma un algoritmo. In altre parole, un puro e semplice calcolo matematico.
Cose che sapevano già in molti, ed anche in passato qualche segnalazione c’era già stata: a denunciare la censura di Rodin, ad esempio, era stato il curatore di mostre Marco Goldin, che aveva usato l’immagine per un evento a Treviso. Ma i media manager della Gipsoteca hanno fatto di più. Scoperto l’arcano, hanno lanciato un hashtag per invogliare i lettori a condividere le foto più “oltraggiose”, convincendo la community, ma soprattutto il temibile algoritmo, che quella è arte e non c’è davvero nulla da nascondere.
Un’iniziativa che ha riscosso un successo insperato, e che anzi ha scoperchiato un vaso di Pandora: diverse altre istituzioni, come Museo Palazzo Grimani, il Consorzio Ville Venete, Villa Emo, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo hanno contattato il museo di Possagno per esprimere solidarietà. Di più: per far sapere che era successo anche a loro. In qualche caso, anche in modo davvero immotivato. Della Vendemmia asolana, ad esempio (opera di Guglielmo Talamini che ritrae il rito campestre della raccolta d'uva), si è salvato un sedere di fanciulla, ma non la cornucopia.
Sulla questione è intervenuto anche Vittorio Sgarbi, che non ha lesinato un «capra!» all’algoritmo feisbucchiano. Rimane da definire se, dopo tanto trambusto, questo famoso algoritmo lo si sia addomesticato un poco. Se vedendo tante condivisioni di quelle immagini abbia capito che non sono oltraggiose, ma belle. Semplicemente belle. Così come potrebbe esserlo una foto che lascia intravedere qualcosa, senza per questo essere pornografica.
Insomma, se da un lato l’intelligenza artificiale fa passi da gigante, a tratti quasi inquietanti, dall’altro sembra non riuscire a schiodarsi dalla stupidità dell’algoritmo. La stessa del robottino aspirapolvere che, pur avendo memorizzato tutta la planimetria di casa e la mappa 3d di ogni angolo, ogni spigolo, ogni rilievo domestico continua tenacemente ad incaponirsi contro un lato del divano. Senza capire che basterebbe girarci intorno.
Silvia Quaranta
Fuga nell'arte
Facebook, Canova e la stupidità dell’algoritmo
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Facebook, Canova e la stupidità dell’algoritmo
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